Una ciocca di capelli, camicie, borse, cravatte, frammenti dilatati di abiti femminili e maschili, particolari di scarpe. Letti, divani, persone immobili, fissate in un gesto, in un tempo immutabile della loro esistenza. La sensazione di una successione di momenti rinchiusi in uno spazio metafisico senza più presente, passato e futuro. La capacità di dare vita a oggetti solo apparentemente inanimati nel palcoscenico del mondo. A Milano, alla Fondazione Prada sono esposti più di cento opere e disegni realizzati da Domenico Gnoli dal 1949 al 1969 in una mostra voluta da Germano Celant e sviluppata in collaborazione con gli archivi dell’artista a Roma e Maiorca per ripercorrere a più di cinquant’anni dalla sua scomparsa il percorso di uno dei protagonisti più appartati dell’arte della seconda metà del Novecento, che ha seguito un percorso molto personale al di fuori dei movimenti allora dominanti tra informale, minimalismo e arte povera.
“Molte cose sono cambiate per me: mi sento finalmente liberato da tanti vincoli e da tanti pregiudizi. Dipingo come mi pare senza più preoccuparmi della cultura del secolo e delle mie responsabilità verso di essa e allo stesso modo intendo vivere: libero e fedele solo a quel tanto o poco di vero che mi sento adesso. La vita comincia adesso, finora ho tremato di fronte a troppe cose: la scuola, gli amici, la pittura moderna, il socialismo, il matrimonio, la cultura, la maturità, la responsabilità. Ho dipinto un sacco di personaggi immaginari… e poi molti ritratti, ma con una differenza, che invece di essere persone viste di faccia, sono persone viste di spalle…”, ha confidato Gnoli alla madre in una lettera scritta a Parigi nel 1963.
Una testimonianza che ci fa comprendere la sua visione del mondo lontana dalle ideologie, dalle mode e dalle tendenze del momento. La sua continua ricerca di una pittura senza modelli culturali obbligati, ma libera di collegarsi alla grande tradizione dell’arte italiana che va dal Rinascimento a de Chirico, a una interpretazione non convenzionale della società in cui viviamo. Opere che hanno iniziato ad affermarsi solo dopo l’avvento della Pop art, pur così lontana dalla filosofia di Gnoli, e al diverso modo di vedere e interpretare le immagini che ne è seguito, fino a diventare uno dei punti di riferimento più influenti, in modo particolare per le nuove generazioni di artisti.
Come ha scritto Salvatore Settis: “La pittura di storia della grande tradizione italiana, verso cui il padre lo aveva guidato, aveva per lui qualcosa di troppo “eloquente”. Per conquistare la perfetta ineloquenza, l’impassibilità delle cose e la sospesa magia di una realtà impersonale, bisognava voltare le spalle a quella tradizione così amata, capovolgere l’ordine dei valori. Negare la ‘decorazione’ mediante una nuova esplorazione della realtà attraverso il dettaglio analitico”.
L’allestimento della mostra progettato dallo studio 2×4 di New York, che riprende e ricrea le tipologie espositive novecentesche, suddivide le opere in sequenze monografiche per far meglio percepire i legami tra diversi periodi e la coerenza creativa dell’artista.
Domenico Gnoli, da un’idea di Germano Celant
Fondazione Prada, Milano, fino al 27 febbraio
La mostra è accompagnata da un volume, realizzato graficamente da Irma Boom, con un saggio di Salvatore Settis e due cronologie illustrate che collocano Gnoli nel tempo storico e artistico in cui ha operato.
Progetto Prada Arte, pp. 424, 90 euro
Info: fondazioneprada.org